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Le case di riposo venete hanno perso 2.500 "ospiti" (l'8% del totale) a causa della pandemia

I sindacati dei pensionati lanciano l’allarme: “Servono risorse dalla Regione”.

E invocano subito la riforma delle Ipab


Durante la pandemia hanno mostrato tutta la loro fragilità in un sistema sociosanitario, quello veneto, considerato da molti una eccellenza. Le case di riposo della nostra regione sono state piegate dal virus e si sono ritrovate a contare le vittime isolate nella solitudine delle proprie stanze. In pratica, le Rsa venete hanno perso circa l’8% dei propri ospiti, fra anziani deceduti (circa 2mila) e anziani tornati in famiglia o ricoverati negli ospedali (circa 500). Una cifra impressionante che ora si è trasformata in emergenza dato che le residenze devono fare i conti con minori entrate e minori risorse e per alcune si mette in discussione addirittura la sopravvivenza.

È questo il principale dato emerso durante il seminario organizzato lunedì dai sindacati dei pensionati di Cgil, Cisl e Uil regionali e dedicato a “Invecchiamento attivo, domiciliarità, non autosufficienza e residenzialità”. Le Rsa venete prima della pandemia contavano circa 33mila ospiti, mentre a fine 2020 il numero è sceso sotto quota 30mila e 500. Da qui la necessità - emersa durante l’incontro - di intervenire subito con risorse regionali per coprire le perdite delle case di riposo senza aumentare le rette. In più i sindacati chiedono con forza la riforma delle Ipab invocata da tempo anche con presidi e manifestazioni a Venezia, di fronte alla sede della giunta e del consiglio del Veneto.


«Quella delle case di riposo per anziani, dove il Covid ha fatto una strage, è una realtà fuori controllo su tutto il territorio nazionale – hanno spiegato durante il seminario -. Addirittura, non esiste un quadro certo delle strutture pubbliche, private convenzionate e private non convenzionate esistenti in Italia. La stessa confusione regna anche in Veneto, dove non è dato sapere quante Rsa effettivamente ci siano. Abbiamo elenchi diversi - anche dello stesso anno - con cifre diverse. I sindacati chiedono da anni una riforma delle case di riposo e il tassello fondamentale è la riforma delle Ipab. In più, invocano da tempo una riforma del loro accreditamento, perché nel tempo i bisogni degli ospiti si sono spostati sempre di più dal sociale al sanitario, parallelamente all'aumento dei soggetti non autosufficienti. Inoltre, è assolutamente necessario che le impegnative di residenzialità vengano aumentate di numero e di importo».

Nei prossimi mesi, dunque, i sindacati concentreranno i loro sforzi anche in queste direzioni pur considerando che «il progetto di legge Zaia riguardante le case di riposo è molto differente da quello depositato nella precedente legislatura e in particolare, si dispone, in maniera molto più chiara, l’obbligo di trasformazione delle Ipab in Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (Apsp) e la parificazione delle aliquote Irap tra pubblico e privato. Sono invece particolarmente negative (quindi da modificare o cancellare) le proposte relative all’esternalizzazione dei servizi delle Apsp e il trasferimento di alcuni poteri di indirizzo e controllo dal consiglio di amministrazione al direttore generale».


Durante l’incontro è emersa con forza anche la necessità di finanziare in modo molto più adeguato la legge sull’invecchiamento attivo in una regione che conta circa 360mila anziani destinati a diventare 420mila nel 2030. «Il Veneto ha una buona legge sull'invecchiamento attivo – concludono da Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp -. Bisogna sostanziarla concretamente in tutte le sue parti, potenziarla e finanziarla in modo che diventi uno strumento fondamentale all'interno delle future e necessarie politiche di protezione dell'anzianità che la pandemia ha reso improcrastinabili. L’invecchiamento attivo è un diritto, ma anche un dovere per sé e per la comunità».

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